Adolescenza: dal latino adolescentia, dal verbo adolesco (crescere), vuol dire incominciare a crescere. Periodo di transizione tra l’infanzia e l’età adulta e scenario di cambiamenti radicali, sia fisici, attraverso i quali il corpo di un/a bambino/a diviene un corpo adulto capace di riproduzione, sia psicologici.

In questo passaggio dall’infanzia all’adolescenza il/la ragazzo/a vive un momento di crisi rappresentato dalla coesistenza di due tendenze opposte: quella che spinge verso l’indipendenza e l’acquisizione del ruolo di adulto e quella derivante dalla difficoltà a lasciare il mondo sicuro dell’infanzia e il ruolo di bambino/a.
Riuscire a superare la crisi vuol dire superare la confusione e l’ambivalenza tipiche di questa fase per poter dare spazio alla propria identità.

Conflitto genitori-figli in età adolescenziale

Durante l’adolescenza il conflitto tra genitori e figli/e rappresenta una tappa fondamentale e sana per lo sviluppo della personalità. È attraverso il conflitto, la sfida con le figure di riferimento, che l’adolescente getta le basi per acquisire una maggior indipendenza.

Da un lato il compito del/la figlio/a è mettere in discussione i parametri di vita, i valori e le regole precedentemente acquisti in modo passivo dalla famiglia per strutturare una propria identità e dall’altro il compito dei genitori è trattenere, o meglio limitare, questa spinta nell’interesse delle sua sicurezza e della responsabilità.

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Possiamo individuare 5 passaggi che un/a ragazzo/a attraversa per crescere e che causano conflitto:

1. Separazione: l’adolescente si ricava degli spazi personali sia in casa sia fuori (sport, amici, attività esterne alla famiglia) mettendo confini tra sé e la famiglia. Ad esempio, la sua cameretta diventa off-limits ai genitori, così come lo spazio in bagno. Inizia a passare molto più tempo con i/le coetanei/e di quanto faccia coi familiari. Predilige anche mettere un confine psicologico tra sé e i genitori, ovvero preferisce confidarsi con gli/le amici/che mentre la famiglia è lasciata all’oscuro rispetto a ciò che egli/ella sente, pensa e fa; in tal modo soddisfa il suo bisogno di appartenenza al gruppo dei pari.

2. Esplorazione: l’adolescente sente il bisogno di esplorare appieno il mondo circostante per soddisfare il bisogno di conoscenza e percepire il suo potenziale ed i suoi limiti. Qui il conflitto nasce dal fatto che per i genitori egli/ella non è abbastanza grande per fare certe esperienze, prendersi alcuni rischi e responsabilità.

3. Differenziazione: l’adolescente inizia ad avere sempre più chiaro ciò che egli/ella è in termini di attitudini, preferenze, valori personali, orientamento sessuale ed il conflitto avviene nell’espressione e forte affermazione della sua individualità.

4. Opposizione: l’adolescente nell’affermare ciò che egli/ella ha scoperto di essere entra in conflitto con i parametri ed i valori familiari. Questo conflitto aperto è importante perché è solo attraverso la messa in discussione di tutto ciò che la famiglia gli/le ha trasmesso che egli/ella potrà alla fine decidere cosa tenere e cosa lasciar andare di ciò che gli/le è stato insegnato anziché adattarsi a priori.

5. Assunzione di responsabilità: la necessità dell’adolescente è assumersi delle responsabilità personali mentre rispetto ad altre, quelle richieste della famiglia, non si mostra disponibile. Il conflitto a questo livello riguarda ciò che la famiglia si aspetta da lui/lei (andamento scolastico, impegno in casa).

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Strategie per gestire le sfide degli adolescenti

Esistono strategie per affrontare in modo adeguato le sfide lanciate giornalmente dai/dalle figli/e che possono aiutare i genitori a superare i conflitti o almeno a comprenderne la causa.

Eccone alcune:

1. Per evitare conflitti accesi è necessario modificare la qualità della comunicazione in famiglia scegliendo un linguaggio che non stimoli posizioni difensive e/o aggressive.
Vanno evitate frasi valutative ed accusatorie del tipo “Non hai fatto ciò che hai promesso …”, o che hanno a che fare con un giudizio sulla persona, del tipo “Sei inaffidabile”.

2. È compito del genitore monitorare il livello di tensione della discussione al fine di evitare un’escalation di tensione e rabbia.
Quando un confronto si intensifica arrivando a diventare provocatorio nei confronti di un membro della famiglia, i genitori hanno il compito di fermare ciò che sta accadendo e rimandare la discussione ad un momento successivo quando tutti i soggetti implicati saranno disponibili ad usare un linguaggio rispettoso e costruttivo.
Ciò permette di evitare che il conflitto sfoci in violenza verbale e/o fisica a causa della rabbia e della frustrazione. In un conflitto la priorità va data alla gestione dell’emotività e solo successivamente all’identificazione di un punto di accordo che è di secondaria importanza. Prima i modi e poi i contenuti.

3. Ogni persona deve assumersi la responsabilità di monitorare e gestire il proprio stato emotivo. Se un genitore o un adolescente si sente in pericolo di perdere il controllo emotivo è necessario che lo dichiari in tempo in modo da potersi fermare, raffreddarsi, e riprendere la controversia in un momento in cui sarà più calmo/a.

4. Ci deve essere una regola all’interno del nucleo familiare, che ha a che fare con la sicurezza di tutti i membri, ovvero non usare mai il conflitto come scusa per danneggiare qualcuno (né emotivamente, né fisicamente). Tra genitore e adolescente i disaccordi sono normali ed il conflitto è prevedibile, ma la violenza, di qualsiasi tipo, non è ammessa e deve essere scoraggiata. In primis da parte dei genitori.

5. La capacità di tollerare la conflittualità tra genitori e figli/e spesso è più ampia per le madri, che si mostrano maggiormente comprensive, rispetto ai padri.
Questo accade perché gli uomini sono culturalmente più incentivati alla competizione, al bisogno di vincere e sottomettere e le donne a sviluppare abilità comunicative e di accudimento della prole (ruoli e stereotipi di genere). Per tale motivo, a volte i padri devono lavorare sulla loro capacità di saper ascoltare ciò che il/la proprio/a figlio/a ha da dire molto di più rispetto alle madri. La capacità di tollerare il conflitto inoltre è più alta per i/le figli/e che per il genitore.
Questo perché l’adolescente ha bisogno di affermare se stesso/a, di dimostrare di essere al pari dell’adulto perciò ne esce, anche quando ha torto, più forte e fiero/a per aver tenuto testa al genitore e aver giocato a “braccio di ferro”. Al contrario, il genitore personalmente ha meno da guadagnare per sé stesso/a dal conflitto. Si trova a dover investire energie ed emozioni spiacevoli in una disputa che valuta di discutibile valore.

Fa parte di una normale fase di crescita vedere da una parte un adolescente in assetto di combattimento per la sua libertà e dall’altra il genitore sfinito ed esausto. Cari genitori, giusto per rincuorarvi: questa situazione dura solo qualche anno!

I “sintomi” adolescenziali

Il conflitto in adolescenza è quindi funzionale ad una sana formazione dell’identità, ma non sempre i genitori sono preparati a farvi fronte. A volte inoltre il conflitto può inserirsi all’interno di una serie di sintomi adolescenziali che meritano un’attenzione particolare.

L’adolescente è come un acrobata che lascia il trapezio per fare un salto verso un nuovo trapezio. Tale salto avviene in sicurezza se la rete relazionale (famiglia e amici) lo sostiene, ma anche la sua rete di pensieri ed emozioni deve essere pronta a elaborare questa fase di passaggio.

Che cosa accade se ciò non avviene? Quando il giovane non si sente sostenuto da una di queste due reti (quella esterna, cioè le relazioni con gli altri, e quella interna, cioè le proprie capacità di affrontare ciò che sta vivendo), vi può essere una caduta.

Esempi di queste “cadute” possono essere l’ansia, la depressione, gesti autolesionistici, disturbi dell’alimentazione, fobie sociali, difficoltà ad andare a scuola, episodi di bullismo. In questi casi chiedere aiuto è il primo passo per rialzarsi.

I sintomi adolescenziali hanno un carattere instabile e discontinuo. I genitori possono quindi dover affrontare momenti in cui sono travolti dalla forza con la quale si manifestano certi comportamenti e spaventati dalla loro violenza ed estraneità rispetto al carattere del/la figlio/a come lo/la avevano conosciuto/a fino a quel momento.

Questo può provocare sentimenti diversi che possono elicitare comportamenti preoccupati, permissivi, tolleranti o repressivi, conseguenti all’onda d’urto provocata dalle emozioni portate in campo dal ragazzo o dalla ragazza. Questi momenti si alternano ad altri in cui sembra che torni la serenità, momenti durante i quali si può trovare anche lo spazio per pensare a “cosa possa essere successo e perché”.
Spesso in queste situazioni può nascere nella mente del genitore l’esigenza di avere qualcuno con cui confrontarsi e capire con quali strumenti, quando presumibilmente i problemi si ripresenteranno, potrebbe aiutare più efficacemente il figlio/a ad affrontare le difficoltà che provocano sofferenza e disequilibrio.

Ciò che accomuna principalmente i sintomi del terremoto adolescenziale è l’estremizzazione dei conflitti, che può manifestarsi attraverso una modalità attiva o passiva:

– agito attivo: ribellione fisica e/o verbale anche violenta
– agito passivo: isolamento e/o silenzio, che portano comunque con sé forti sentimenti di aggressività nei confronti del mondo.

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Adolescenza: una psicoterapia specifica

I genitori sono gli attoniti spettatori di questo processo che si svolge sotto i loro occhi. Il sentimento prevalente è spesso quello di soffrire per il fatto di sentirsi impotenti nell’aiutare il/la figlio/a a superare le sue difficoltà o nell’alleviare perlomeno le sue sofferenze.

Tutto questo può unirsi alla rabbia per la sensazione che sia proprio lo/la stesso/a figlio/a a considerare inutile, e spesso indesiderata, la loro partecipazione a questo suo percorso.
E’ sbagliato considerare a priori i sintomi adolescenziali in un’ottica di patologia. A seconda di come si presentano ed evolvono le difficoltà ed i conflitti, è necessario valutare se vi siano le indicazioni per giustificare delle preoccupazioni oppure se considerarle come un processo fisiologico.

In quest’ultimo caso l’adolescente necessità soprattutto di essere ascoltato/a, considerato/a ed accettato/a nella sua individualità.

Nel caso invece in cui la situazione sembri giustificare un livello di preoccupazione elevato, si può evidenziare la necessità di accedere ad una consulenza, che può essere risolutiva, si capisce cioè come affrontare il problema o che magari semplicemente il problema non esiste, o portare a valutare un percorso, che aiuti l’adolescente ad affrontare l’uscita dall’infanzia e l’ingresso nel mondo adulto con una maggiore conoscenza di sé e una maggiore sicurezza in se stesso/a.

Lo/la psicologo/a, in base alle peculiarità del caso, può ritenere utile  un lavoro individuale con l’adolescente  o consigliare una serie di incontri cui partecipano solo i genitori, oppure coordinare i due interventi, al fine di aiutare il nucleo a trovare nuove e più funzionali modalità di relazione e comunicazione.

Spesso accade che il/la ragazzo/a non si renda disponibile personalmente alla partecipazione ad un determinato percorso: in questo caso si valuta l’opportunità di lavorare soltanto con i genitori, alleviando la loro fatica, supportandoli nella loro funzione genitoriale in questa difficile fase di vita della famiglia, che si svolge generalmente in un momento di cambiamento anche della fase di vita personale del genitore.

Il DediCare mette a disposizione un’équipe di professionisti che si dedicano alla meravigliosa e delicata fase dell’adolescenza!

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